Ordinanze antidegrado

Ci sentiamo sicuri ora?

  • Marzo 9, 2011 16:52

Urca urca tiruleru, oggi splende il sol!

  • Marzo 4, 2011 14:58

Stasera ho proprio voglia di uscire, ho proprio voglia di stare in giro, di conoscere gente, di parlare con le persone… usciamo!

Faccio una chiamata.

No, guarda, non ho voglia. Penso che starò a casa a vedere un film. Non c’è niente da fare in giro: solito bar, solito alcool, solita gente. Ci sarebbe quella serata, in quel posto là… ma è troppo lontano, poi non ci sono gli autobus per tornare. Quindi non mi muovo.

Allora uscirò senza nessuno.

Salgo sul bus. Un po’ di gente c’è, almeno qua. Ognuno preso dai suoi pensieri. Chi, appena uscito da lavoro, pensa già alla sveglia di domattina; chi, con una misera busta del LIDL in mano, si chiede se la cena basterà per la famiglia; chi, dopo tante ore di stress dietro a una scrivania, ha fretta di tornare a casa per sedersi sulla sua poltrona e accendere la tv finchè il sonno non sopraggiunge.

Azzardo mezzo sorriso alla vecchietta seduta di fianco a me, mi guarda storto. Troppi telegiornali, mi avrà scambiato per un borseggiatore o un tossico, d’altronde ormai bastano i miei jeans larghi e i capelli lunghi per catalogarmi.

Scendo in centro, mi accendo una sigaretta e mi dirigo lentamente verso la piazza, guardandomi intorno: i muri sono bianchi e asettici, le poche persone che incontro vanno di fretta, guardandosi i piedi. Dove sono finiti i graffiti? I manifesti colorati? I brandelli di sogni attacchinati sulle colonne? La gente non vive più i luoghi in cui abita.

Eccomi in piazza, sicuramente troverò qualcuno con cui scambiare due parole e farmi quattro risate, ma non c’è nessuno, solo un piccolo gruppo di ragazzi seduti su un gradino che bevono una birra. Mi avvicino, gli chiedo se posso sedermi con loro, unici esseri umani in quella che sembra una città fantasma.

Certo, siediti pure!

Neanche il tempo di fare le presentazioni, mi sento toccare la spalla. Sono due uomini in divisa blu.

Voi non potete stare qua

Perché?

Seduti per terra degradate la piazza. In piedi, e seguiteci.

Ci alziamo di mala voglia. Del resto, cosa possiamo fare in così pochi? Ci portano davanti alla camionetta.

Documenti.

Fuori i portafogli e consegna delle carte d’identità (che poi la carta è solo carta, la carta brucerà). Uno degli uomini le prende ed entra nella camionetta per l’identificazione, l’altro resta con noi.

Posso sedermi? Sono stanca!

E va bene siediti.

Anche io avverto una certa stanchezza, pensandoci. Quasi quasi mi siedo anche io…

No! Cosa stai facendo? Non vi potete sedere tutti insieme! Datevi il cambio!

Non sappiamo se ridere o se piangere. Scoppiamo in una fragorosa risata e ci andiamo a sedere nella panchina pochi metri più in là. Lo sbirro si allontana, senza però perderci d’occhio. Sigaretta.

Ehi voi! Documenti!

Ci giriamo: altri due uomini in divisa, diversa da quella dei primi due.

Non abbiamo documenti.

Cosa? Ma girate senza documenti? Svuotate le tasche!

Ancora prima di riuscire a spiegare mi trovo la mano del poliziotto in tasca.

Guarda che i nostri documenti ce li hanno loro.

Indichiamo gli  uomini vicino alla camionetta. Giusto perché siamo soggetti socialmente pericolosi, decidono di aspettare la fine del controllo dei colleghi: due paia d’occhi in più non fanno mai male, avendo a che fare con persone come noi…

Tutto ok, potete andare dicono i primi a noi.

Buona serata colleghi dicono i secondi ai primi.

Poi vanno via tutti. E’ tornata la desolazione, però almeno non siamo controllati. Decidiamo di cercare un posto più tranquillo, andiamo al parco. Prato verde, panchine, giochi per bambini, aiuole, fiori, alberi, rami… e telecamere! L’occhio della legge è sempre vigile. Decidiamo di spostarci di nuovo, ma dovunque andiamo siamo osservati da occhi meccanici a circuito chiuso.

Ci sono posti dove Dio non riesce a vedere, ma le forze dell’ordine costituito non hanno certi limiti.

Alla fine mi ritrovo nello stesso bar di tutte le sere, spintonato da bodyguard africani… loro svolgono un lavoro utile alla società, quindi non li rinchiudono nei c.i.e. come chi cerca di tirare a campare vendendo fazzoletti e accendini per strada, o pulendo i vetri delle macchine; e senza dubbio coi loro giubottini marchiati col nome del bar sono più belli a vedersi, almeno per qualcuno.

Quattro euro e cinquanta per una birra, mi viene in mente che è la fine del mese, e a breve dovrò sborsare l’esorbitante affitto (in nero) per il bilocale condiviso con altre due persone, nonché la terza retta di quell’università che hanno il coraggio di definire pubblica. Prendo la birra e mi siedo al tavolo. Sono tutti seduti al tavolo. Tutti in cerchio, guardando negli occhi gli amici, ed escludendo qualsiasi cosa all’infuori del loro tavolo.

Che fare?

Ma certo! C’è il centro sociale! Come ho fatto a non pensarci prima? Dove posso trovare qualcuno con cui parlare, dove passare un po’ di tempo in compagnia se non al centro sociale? Peccato non ricordi come ci si arriva. Chiedo in giro.

L’hanno buttato giù.

Come l’hanno buttato giù?

Dovevano costruire il parcheggio di un centro commerciale, gli serviva quello spazio.

Con un meraviglioso stato d’animo dopo questa serata costruttiva e piena di socialità, decido di abbandonare il mio progetto iniziale e rinchiudermi anch’io in casa, in solitudine, magari sostituendo la desolazione degli show in tv con qualche bel film, giusto per mantenere una certa coerenza con la mia persona. Arrivo a casa, metto il pigiama e guardo lo schermo nero della televisione. No, non mi va di guardare un film, stasera leggo un libro. Mi infilo sotto le coperte, faccio attenzione a posizione la luce in modo che non disturbi troppo chi dorme nel letto accanto e mi teletrasporto nel 1984.

Ho un quaderno in mano, sono nella mia stanza in un piccolo angolo che è l’unico punto dove la telecamera non può riprendermi. Non posso fare rumore, non devono accorgersi che sono in camera e mi sto nascondendo. Dovrei essere al momento ricreativo, lo so, ma voglio stare qua col mio quaderno. Speriamo nessuno si accorga che manco. Cosa succederebbe se mi scoprissero? Mi verrebbero a prendere, mi porterebbero al palazzo di giustizia e mi torturerebbero, finché non confesserò di essere un sovversivo, perché mi nascondevo dalle telecamere, perché scrivevo un quaderno nascondendomi dalle telecamere. Ma no, non devo pensarci, non mi scopriranno, basta fare attenzione. Basta solo fare attenzione a restare qua immobile, nell’unico angolo dove il Grande Fratello non può vedermi.

Chiudo il libro, mi fanno male gli occhi. Lo sistemo al suo posto, spengo la luce, punto la sveglia per la lezione di domattina e mi addormento pensando:

Certo che questo Orwell aveva proprio una bella fantasia!

L’affermazione del neo-fascismo tramite ordinanze e controllo sociale

  • Marzo 3, 2011 15:07

Esiste oggi un fascismo che si connota con i caratteri dell’intesa mondiale per la sicurezza, per la gestione di una pace presunta, che organizza le ansie, le paure e le angosce delle masse.

Ogni piccolezza và soffocata, chi alza la voce, parla, mangia, beve, vive la strada.

A ben vedere questo fascismo non è affatto meno terribile di quello conosciuto nel secolo scorso, anzi ne rappresenta la moderna continuazione, adattato alle nuove esigenze economiche e geopolitiche.

Le ordinanze della Cancellieri che entreranno in vigore a Marzo preoccupano, chiamano rabbia, ma certamente non meravigliano.

Si innescano in piena continuità in quell’uso dello strumento penalistico in funzione “propulsiva”, volto a diffondere fra la gente un modello etico-culturale e di rapporti umani.

Da anni, a Bologna come in tutta europa, esiste un consenso fondamentalmente bipartisan sulle questioni della “sicurezza”.

Questo focus securitario assume un pesante disvalore negativo sotto almeno due punti di vista.

Da un lato, per manifesta ammissione, si colora delle tinte della campagna elettorale. Il professor Pavarini, intascando una consulenza da 100.000 euro durante la giunta cofferatiana, dichiarava l’inutilità di una politica “eclusivamente repressiva” ai fini dell’abbattimento della microcriminalità e del degrado. Senza intervenire sulle cause di questi ultimi -e cioè avviando un’ampia opera di potenziamento dei servizi sociali ed assistenziali a fini preventivi- innalzare il livello della sorveglianza con telecamere, sbirri in borghese, contravvenzioni, non può che avere un semplice “effetto vetrina”.

Cioè propaganda elettorale. Ed è proprio la scelta che il partito democratico in primis ha fatto, abbattendo addirittura le spese sul welfare e facendo gonfiare quelle per la repressione.

Per altro verso invece è ormai evidente come la competizione elettorale non sia che l’ultimo degli elementi atti a giustificare la svolta neo-fascista che dalla Spagna di Zapatero, alla Francia di Sarkozy, alla Bologna della Cancellieri trova un’asse di continuità nelle politiche di gestione della socialità urbana.

Certe metropoli di oggi sono veri e propri centri di sperimentazione biopolitica, della gestione del corpo umano nella società dell’economia capitalista. La persona diventa materiale da utilizzare e da controllare. Il controllo sociale, ossia ciò che loro chiamano sicurezza, assume sotto questo aspetto il carattere della scienza esatta. Una scienza finalizzata alla stratificazione di un “pensiero unico” (prevalentemente coniato negli USA), mediante l’utilizzo strumentale dell’apparato coercitivo.

Le ordinanze della Cancellieri realizzano un passo avanti nella performance mediatica volta ad individuare un parametro di “giustezza sociale” cui conformarsi.

Lo strumento penale è dunque apertamente volto a mantenere e alimentare un preciso ordine economico e politico.

Il salto avanti rappresentato dalle ordinanze dell’oggi è peraltro evidente. Alla repressione mirata a punire un reato “tipico”, rappresenti esso un fenomeno di microcriminalità o meno, viene sostituita una “repressione preventiva”, basata sull’idea che certi contesti situazionali rappresentino il momento antecedente alla realizzazione di un reato vero.

L’idea di “degrado” si sostituisce a quella di reato.

 

Sono peraltro ampiamente smascherati gli obiettivi reali e concreti della politica sicuritaria alla Bolognese.

Da un lato reprimere quella pericolosissima socialità di piazza, fatta di cibo, birre, parole urlate e musica. Sappiamo ormai da tempo che il capitalismo moderno vuole i nostri tempi accellerati e frenetici: le piazze devono essere luogo di passaggio veloce in vista del prossimo appuntamento diurno. A questo sistema fà tanta paura un’idea di socialità aperta, dove i vari “strati” della società si parlano, si osservano, si mescolano, si confrontano. Molto più sicura una socialità al chiuso dei locali “bui”, dove le classi sociali tendono ad uniformarsi ed i gestori a pagare lauti compensi per le concessioni del comune.

Dall’altro invece è manifesta l’intenzione di portare avanti quei processi di gentrificazione, che vedono il centro storico ed anche quello universitario come luoghi da “riqualificare”, dediti allo shopping ed agli investimenti di chi costruirà nuovi mostri del consumo: togliere il vecchio, lercio e cattivo, mettere il nuovo, pulito ed esemplare. Peraltro non ci sfugge certo che proprio di questi tempi và accellerandosi il processo di delocalizzazione delle facoltà in vista della creazione di un polo universitario -stile campus- collocato in comoda periferia.

 

Il neo-fascismo ha insomma una paura ben precisa che lega strategicamente ordinanze di basso profilo a grandi manovre strategiche.

Ce la indica nitidamente il piano della NATO “urban operation 2020”: le guerre future non saranno cobattute da eserciti , ma saranno all’interno delle metropoli.

Quindi, controllare, utilizzare, reprimere, indirizzare verso un pensiero unico e… normalizzare la presenza dei militari per le strade. Da un punto di vista psicologico deve essere nulla di allarmante vedere costantemente militari armati per strada. Saranno loro prossimamente a sedare i conflitti urbani che verranno. E quanto questo quadro sia veritiero ce lo insegnano le dinamiche delle rivolte in Africa di questi giorni.

 

Contro il dilagare del neo-fascismo noi proponiamo di vivere quelle stesse piazze soggette ad ordinanze restrittive in maniera “naturale” ed antitetica a come il potere le vuole. E’ giunto il momento di dire che NON ABBIAMO BISOGNO SOLO DI COMUNICAZIONE. Abbiamo bisogno di creatività. Dobbiamo cercare nuove forme di resistenza al presente, di costruire insieme la propria immagine fuori dalle mani del potere.

Ci dicono di mangiare in modo consono? Noi rispondiamo con un pranzo sociale consono alle nostre idee di socialità, e, dopo, spazio di parola aperto a tutti.

 

Assemblea anticapitalista

 

 

Alleghiamo anche il documento del Collettivo Libertario Rivoluzionario riguardo il nuovo regolamento municipale:

Ordinanza Co.lib.ri.