L’università è in rivolta
2 Dicembre 2010
L’università è in rivolta. L’università è in rivolta come non lo era da anni, con numeri che non vedevamo da anni, con una rabbia che non sentivamo da anni. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata sicuramente l’ultimo ddl Gelmini, che continua a tagliare su fondi e posti di lavoro pubblici, favorendo il privatismo in ogni aspetto. Ma il decreto che pochi giorni fa è stato approvato, è solo il completamento del “Processo di Bologna”, un accordo siglato da varie realtà europee nel 1999 e che si era posto come termine il 2010, in cui l’ aziendalizzazione e la canalizzazione dei percorsi formativi assicurano un nuovo meccanismo di selezione all’ interno del corpo studentesco. Il processo di massificazione e mercificazione, la corsa a ridurre tutto quello che ci circonda (esseri umani compresi) a numeri, oggetti al servizio del profitto, ha investito e travolto anche l’università e gli altri apparati di studio e ricerca, calpestando quello che è il naturale diritto allo studio e alla cultura di ognuno di noi.
Da un primo incontro/dibattito sull’argomento, sono emerse delle tematiche chiave che verranno approfondite e arricchite di idee durante gli incontri:
– La mercificazione del sapere, imposta dai sempre più numerosi rapporti tra apparati di studio pubblici e aziende private, che tendono a incrementare solo determinati studi e lavori che possono portare beneficio al loro capitale. La dittatura del profitto sul sapere, è supportata (e in qualche modo “giustificata”) dai continui tagli ai fondi, che mettono le università e le scuole in debito con lo Stato, costringendoli ad accettare finanziamenti privati. Attualmente, i fondi destinati all’università nel 2009 non sono ancora arrivati, ma nel silenzio il Ministro dell’economia ha imposto che la metà dei fondi universitari del 2010 debbano essere riconsegnati allo Stato, aggravando ulteriormente i debiti.
– Il sistema culturale va allo sfascio, si assottiglia e si unifica in un unica corrente. E questo succede perché lo Stato che attualmente ci governa ritiene la cultura una cosa elitaria, destinata ai pochi, invece di individuare in essa la base di una società libera e paritaria. In questo momento di crisi, piuttosto che concedere fondi e strutture all’istruzione, i soldi e il cemento vengono investiti nel finanziamento di azioni di guerra, militarizzazione dei territori, aziende private che collaborano con realtà legate allo sfruttamento di persone e territori (organizzazioni petrolifere, aziende con palesi infiltrazioni mafiose, etc). Da anni assistiamo quasi inermi allo smembramento della cultura in senso lato, e ci sentiamo schiacciati dalle continue politiche di esclusione -in tutti gli ambienti- che sembrano ormai all’ordine del giorno.
– Le strutture e le forme della didattica sono chiaramente complici di questo processo che sembrerebbe ormai inesorabile, quando invece dovremmo chiederci tutti se questa è davvero l’unica strada possibile. L’autorità indiscussa della figura del professore, i metodi di lezione frontale che tendono all’apprendimento passivo piuttosto che a un dialogo di arricchimento collettivo e orizzontale, l’impossibilità da parte dello studente di autodeterminare o incidere sulla scelta dei contenuti del proprio percorso di studio, i tempi di produzione del sapere sono sempre più accelerati ed esclusivi di altri interessi, il sistema dei crediti quantifica in numeri la cultura.
Questa meccanica, invece di favorire la diffusione e la molteplicità del sapere, tende ad abituare gli individui fin da giovani ai ritmi asfissianti del produci-consuma-produci-consuma. Anche nelle scuole superiori, si sta prendendo questa via di perdizione individuale, trattando gli alunni in modo sempre più freddo, indottrinandoli con corsi dichiaratamente volti ad avvicinarli alle realtà imprenditoriali e militari.
Ci proponiamo, con un tavolo di lavoro autonomo, libero, aperto, circolare e orizzontale, di portare alle luce fatti e storie dell’incubo culturale che stiamo vivendo, e allo stesso tempo provare a immaginare un sistema più paritario e che non quantifichi tempo, idee e forze in base alle logiche di mercato, ma in base alle reali esigenze degli individui e della collettività.
Laboratorio sull’università
Scienze politiche occupata
De giornalisti infami e questurini ciarlatani
1 Dicembre 2010
Leggiamo dal Corriere di Bologna, che ieri 30/11/2010, al corteo erano presenti “ i venti tutti neri in missione dall’Aula C”, che avrebbero infiltrato e provocato il corteo, per portare il livello del conflitto su piani più violenti.
Una provocazione, un tentativo di depistaggio per frammentare ulteriormente un movimento di lotta già di per sé disgregato, un tentativo di criminalizzazione ai danni di chi propone null’altro che una società altra, alternativa, senza gerarchie, senza deleghe, senza obblighi e senza leggi imposte dall’alto, con l’autogestione come base. Una società dove la volontà di tutti trova vera realizzazione.
Ed è con questa pratica, quella dell’autogestione con cui portiamo avanti l’occupazione di scienze politiche, che vogliamo rispondere alle menzogne e le millanterie proferite dai pennivendoli di regime, che piuttosto che cercarsi personalmente la notizia, aspettano le direttive della questura. Delle chiacchiere non ce ne facciamo niente, delle chiacchiere degli sbirri ancora meno!
La rabbia, le pratiche, la voglia di cambiare radicalmente l’esistente, che ieri ha caratterizzato il corteo degli studenti, era di tutta la piazza, non può essere attribuita solo ad un gruppo di “venti anarchici”: è infamante nei confronti di questi ultimi ed è ingiusto nei confronti di chi anarchico non lo è.
L’assemblea di occupazione di scienze politiche ci tiene a sottolineare l’eterogeneità di contenuti e modalità che la caratterizza. Non ci sono bandiere, non ci sono ideologie guida, non ci sono cappelli messi da questo o quell’altro collettivo. L’unica base è appunto l’autogestione e la libertà dei partecipanti di autodeterminarsi all’interno di uno spazio liberato, come lo è ora la facoltà di scienze politiche.
Concludiamo respingendo al mittente, cioè alla questura, le accuse di infiltrati, provocatori e violenti. I veri infiltrati, i veri provocatori, i veri violenti, si sa, sono loro. E queste non sono chiacchiere, ieri tutti l’hanno potuto testare materialmente in piazza!
Assemblea di scienze politiche occupata