L’università è in rivolta

  • Dicembre 2, 2010 20:46

2 Dicembre 2010

 

L’università è in rivolta. L’università è in rivolta come non lo era da anni, con numeri che non vedevamo da anni, con una rabbia che non sentivamo da anni. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata sicuramente l’ultimo ddl Gelmini, che continua a tagliare su fondi e posti di lavoro  pubblici, favorendo il privatismo in ogni aspetto. Ma il decreto che pochi giorni fa è stato approvato, è solo il completamento del “Processo di Bologna”, un accordo siglato da varie realtà europee nel 1999 e che si era posto come termine il 2010, in cui l’ aziendalizzazione  e la canalizzazione dei percorsi formativi assicurano un nuovo meccanismo di selezione all’ interno del corpo studentesco. Il processo di massificazione e mercificazione, la corsa a ridurre tutto quello che ci circonda (esseri umani compresi) a numeri, oggetti al servizio del profitto, ha investito e travolto anche l’università e gli altri apparati di studio e ricerca, calpestando quello che è il naturale diritto allo studio e alla cultura di ognuno di noi.

Da un primo incontro/dibattito sull’argomento, sono emerse delle tematiche chiave che verranno approfondite e arricchite di idee durante gli incontri:

 

– La mercificazione del sapere, imposta dai sempre più numerosi rapporti tra apparati di studio pubblici e aziende private, che tendono a incrementare solo determinati studi e lavori che possono portare beneficio al loro capitale. La dittatura del profitto sul sapere, è supportata (e in qualche modo “giustificata”) dai continui tagli ai fondi, che mettono le università e le scuole in debito con lo Stato, costringendoli ad accettare finanziamenti privati. Attualmente, i fondi destinati all’università nel 2009 non sono ancora arrivati, ma nel silenzio il Ministro dell’economia ha imposto che la metà dei fondi universitari del 2010 debbano essere riconsegnati allo Stato, aggravando ulteriormente i debiti.

– Il sistema culturale va allo sfascio, si assottiglia e si unifica in un unica corrente. E questo succede perché lo Stato che attualmente ci governa ritiene la cultura una cosa elitaria, destinata ai pochi, invece di individuare in essa la base di una società libera e paritaria. In questo momento di crisi, piuttosto che concedere fondi e strutture all’istruzione, i soldi e il cemento vengono investiti nel finanziamento di azioni di guerra, militarizzazione dei territori, aziende private che collaborano con realtà legate allo sfruttamento di persone e territori (organizzazioni petrolifere, aziende con palesi infiltrazioni mafiose, etc). Da anni assistiamo quasi inermi allo smembramento della cultura in senso lato, e ci sentiamo schiacciati dalle continue politiche di esclusione -in tutti gli ambienti- che sembrano ormai all’ordine del giorno.

– Le strutture e le forme della didattica sono chiaramente complici di questo processo che sembrerebbe ormai inesorabile, quando invece dovremmo chiederci tutti se questa è davvero l’unica strada possibile. L’autorità indiscussa della figura del professore, i metodi di lezione frontale che tendono all’apprendimento passivo piuttosto che a un dialogo di arricchimento collettivo e orizzontale, l’impossibilità da parte dello studente di autodeterminare o incidere sulla scelta dei contenuti del proprio percorso di studio, i tempi di produzione del sapere sono sempre più accelerati ed esclusivi di altri interessi, il sistema dei crediti quantifica in numeri la cultura.

 

Questa meccanica, invece di favorire la diffusione e la molteplicità del sapere, tende ad abituare gli individui fin da giovani ai ritmi asfissianti del produci-consuma-produci-consuma. Anche nelle scuole superiori, si sta prendendo questa via di perdizione individuale, trattando gli alunni in modo sempre più freddo, indottrinandoli con corsi dichiaratamente volti ad avvicinarli alle realtà imprenditoriali e militari.

Ci proponiamo, con un tavolo di lavoro autonomo, libero, aperto, circolare e orizzontale, di portare alle luce fatti e storie dell’incubo culturale che stiamo vivendo, e allo stesso tempo provare a immaginare un sistema più paritario e che non quantifichi tempo, idee e forze in base alle logiche di mercato, ma in base alle reali esigenze degli individui e della collettività.

 

Laboratorio sull’università

Scienze politiche occupata