Università

Riforma universitaria e mercificazione del sapere

  • Dicembre 7, 2010 00:48

La chiamano riforma Gelmini, ma con la ministra questa legge ha ben poco a che vedere. Sappiamo che fin dal 1997  governi di tutto il mondo si sono riuniti ed hanno cominciato a stilare atti, documenti, convenzioni -formali e non- che decidono sul futuro ed ormai anche sul presente del ruolo dell’università nell’economia moderna. Questo insieme di atti di natura squisitamente di indirizzo politico, oltre i venti ormai, sono molto poco o per nulla pubblicizzati dai media. Essi non hanno la forma di alcun atto giuridico tipico a livello nazionale o sovranazionale (leggi, regolamenti, direttive, trattati). Sono documenti di c.d. “soft law”, non immediatamente vincolanti per i governi firmatari, ma tuttavia dotati di grande forza perentoria. E’ un fatto che nell’ultimo decennio in tutta Europa, ed in tanti altri paesi del mondo, sono state approvate riforme riguardanti il tema dell’istruzione universitaria identiche e spesso sovrapponibili persino nel dettato normativo.

Anche la odierna riforma Gelmini rientra in questo così chiamato Bolonia process, in onore della città in cui venne stilato il più propagandato -ed invero privo dii contenuti- di questi atti di diritto leggero.

Appare pertanto necessario smascherare la mano centrale della riforma che tante mobilitazioni sta suscitando in queste settimane, e comprendere i come ed i perchè si cerchino di forzare così i termini di approvazione in un momento tanto critico per il Berlusconi quater.

Cercando di stilare una non facile elencazione dei tanti punti nodali figli di un progetto unico presenti nel Bolonia process, non si può non iniziare dal costatare che negli ultimi anni praticamente in tutta Europa si è passati repentinamente da un sistema di corsi di laurea a ciclo unico, ad uno a doppio ciclo, improntato perlopiù sul sistema del 3+2 o del 4+1.

La frammentazione fra “grado” e “postgrado”, mascherata da una propaganda di ottimizzazione delle risorse universitarie (ed in Italia abbiamo visto come è finita),  rappresenta senza alcun dubbio, e per stessa ammissione del processo cui ci riferiamo, lo strumento più importante per funzionalizzare l’università pubblica alla moderna economia di mercato.  In quest’ottica, e chiarendo immediatamente che per logiche di mercato non può intendersi che l’interesse concreto di chi il mercato lo domina (banche e multinazionali) il postgrado sarebbe il momento della specializzazione dello studente, per formarlo al mondo del lavoro che incontrerà di lì a venire. Posto che oggi questo mercato del lavoro sarebbe con forte probabilità una collocazione nel dilagante c.d. settore terziario (servizi), con la sua endemica precarietà, il sapere diventa a questo punto un sapere non neutrale, ma settorializzato. E ciò è tanto più palese per gli indirizzi tecnico-scentifici, mentre quelli umanistici si avviano ad un lento declino per importanza e capacità di costruire un futuro.

Questa prima lettura ci consente già di ipotizzare una sovrapposizione “ideologica” fra riforme del mercato del lavoro (leggi Biagi e Treu) e riforme del sistema universitario.

Aggiungasi ad ogni buon conto che il progetto di rifunzionalizzazione dell’università prevede, ed in certi casi già attua (come in Spagna, Olanda, Belgio, Germania), che il postgrado sia in realtà un master -rigorosamente a pagamento–  gestito direttamente da società private.

Per mettere in atto quella che a questo punto possiamo iniziare a delineare come una mercatizzazione del sapere non basta naturalmente modificare i cicli di studio, occorre mettere mano al potere di indirizzo strategico, economico e didattico degli atenei: la governance. Trattasi in altri termini di passare da un sistema pubblico-elettivo ad altro privato-nominativo, annullando il già invero inesistente potere della componente di studenti e ricercatori.

In quest’ottica la lettura della riforma Gelmini è semplice: vengono attribuite le competenza che furono del senato accademico ad un organo emblematicamente chiamato Consiglio di Amministrazione, composto da 11 membri di cui la metà esterni al mondo accademico e con comprovate competenze “organizzative e gestionali”.

Non può qui invero dimenticarsi che già oggi gli organi degli atenei, come quelli della democrazia rappresentativa nazionale e territoriale, erano già indirettamente nelle mani dei privati. Appare tuttavia non meramente simbolica e di scarsa rilevanza un’attribuzione così diretta, la possibilità di sommare al curriculum di un consigliere del cda di  una banca il ruolo di consigliere del cda di un ateneo.

Vi è poi la questione in questi mesi tanto dibattuta della ricerca. Occorre in primo luogo collocare la sua funzione dentro il mondo accademico. Giova sfatare un mito costruito dalla propaganda mediatica del governo: il ruolo di ricercatore ha una dignità propria, essendo caratterizzato dal tempo e dalla sperimentazione libera dell’individuo e dalla sua verosimile indifferenza a logiche di carrierismo accademico. Chi è ricercatore può infatti, e questo è il bello, farne un mestiere,  avendo la passione protesa all’elaborazione intelletuale e scientifica, non l’ambizione di diventare necessariamente un professore.

Tuttavia al capitalismo moderno importa sempre meno di una ricerca pubblica, libera, non funzionalizzata.

Di qui i nuovi contratti per ricercatori previsti dalla riforma Gelmini, i 3+3, che fanno del soggetto in questione un precario ab origine. Di qui i tagli indiscriminati al fondo pubblico ordinario (e quindi indirettamente alla ricerca) sanciti  dalla legge 133/2008  e pedissequamente riconfermati nelle successive leggi finanziarie.

Non è difficile immaginare a questo punto quale sia sentiero designato.

La ricerca universitaria, possibile veicolo di libertà per un popolo, una libertà costruita con l’intelligenza dei suoi individui, diventa viceversa veicolo di asservimento dei saperi al monopolio del capitale moderno. Immaginiamo in quest’ottica il futuro delle facoltà di medicina, biologia, chimica. Saperi già parziali perchè compressi dalla temporalità indotta dal sistema dei crediti saranno inoltre progressivamente vincolati ad produzione di parte, la parte del profitto.

 

Se è a questo punto chiara la matrice tipicamente capitalista della riforma Gelmini non stupirà il fatto che si cerchi contestualmente di creare un’università per ricchi, di elite. Si innalzano a dismisura i costi di accesso per mezzo dei reiterati tagli al fondo ordinario. Di più, continuano a non inserirsi validi elementi di valutazione del fondo ordinario stesso da parte degli atenei. Si limita l’accesso al welfare per mezzo della c.d. Meritocrazia, ma noi sappiamo benissimo che non esiste merito senza reddito.

Si destinano ad enti privati fondi per le borse di studio.

 

Tutte queste condiderazioni ci portano ad individuare tutti i caratteri distintivi di quella che possiamo sempre più a ragione definire un’università-fabbrica: non più solo per la compressione degli spazi e dei tempi di vita legati alla tempistica dei corsi obbligatori, degli appelli di esame e della possibile necessità di dover lavorare per potersi mantenere gli studi; ma anche per la palese ispirazione imprenditoriale del modello di governance, per la funzionalizzazione della didattica e della ricerca.

 

E’ in itinere un percorso occulto di trasformazione del ruolo del sapere dentro la società, un percorso già ben avviato ma lontano dal suo punto di arrivo.

Per questo si ritiene oggi importante trattare i vari aspetti della riforma  come un tutt’uno complessivo, per questo è importante collocarli dentro il sistema politico contemporaneo.

 

Non scopriamo oggi che la mano che dirige la mercificazione del sapere è la stessa che costruisce oggi un sistema di vite precarie, è la stessa che invece di scommettere sulle specificità dei territori li deturpa per costruire i mostri del consumismo.

Sappiamo che è da ipocriti parlare di università e non capire quanto essa sia strettamente legata alla trasformazione del lavoro salariato ed in definitiva ad un’economia del profitto guerrafondaia ed alienante.

Scienze politiche occupata

Solidarietà alle rivolte studentesche in europa

  • Dicembre 4, 2010 22:26

4 Dicembre 2010

 

Dopo una settimana di occupazione e lotte torniamo in piazza a sostegno di tutte le lotte studentesche in Italia e in Europa contro i tagli all’ istruzione e al welfare e le politiche repressive dei governi, atte ad annullare ogni tipo di contestazione e confronto.

Rilanciamo la lotta citando le parole degli studenti inglesi dopo l’occupazione della sede dei conservatori a Londra:

“Ci opponiamo a tutti i tagli e solidarizziamo con i lavoratori del settore pubblico, i poveri, i disabili, gli anziani e i lavoratori. Occupiamo il tetto in opposizione alla mercificazione dell’istruzione da parte del governo di coalizione, e contro il sistema da loro imposto attaccando i poveri e aiutando i ricchi. Invitiamo all’azione diretta per opporsi ai tagli. Questo è solo l’inizio della resistenza alla distruzione del nostro sistema d’istruzione e dei servizi pubblici.”

 

Sosteniamo le proteste degli student* inglesi e greci e le loro mobilitazioni.

 

INVITIAMO INOLTRE TUTTE E TUTTI ALL’ASSEMBLEA DI SCIENZE POLITICHE OCCUPATA ALLE ore 19.00 LUNEDI’ 6/12

PER RILANCIARE L’OCCUPAZIONE E CONTINUARE LE MOBILITAZIONI A OLTRANZA!!!

VIENI A CONDIVIDERE:

PENSA

CREA

LOTTA!

Assemblea di scienze politiche occupata

“Incontri con il mondo del lavoro”

  • Dicembre 2, 2010 21:25

2 Dicembre 2010

 

E’ inaccettabile che durante un momento di mobilitazione generalizzata, che vede anche la Facoltà di Scienze Politiche partecipare con un’occupazione, nella stessa continuino seminari che vanno a consolidare l’università come strumento relegato nelle mani di imprenditori, industriali e fondazioni private.

Promuovere un seminario intitolato “Incontri con il mondo del lavoro” in cui non appaia tra gli invitati nessun lavoratore/trice, nessun precario/a, nessuno/a che rappresenti le classi sfruttate e più a rischio, in un momento di crisi del capitalismo che sfocia in tagli al welfare e neoliberismo spietato e, viceversa, invitare relatori facenti parte di associazioni industriali, classe imprenditrice, sindacati conniventi, è a dir poco offensivo.

Quest’occupazione si è posta l’obiettivo di costruire dal basso una didattica alternativa che promuova un’analisi critica del sistema politico-economico dominante, lasciando spazio al confronto orizzontale proprio con le classi che questa crisi la stanno pagando, e non con chi l’ha causata senza pagarne alcunchè.

Proponiamo agli studenti di SPORG che frequentano questo corso e a tutti gli studenti in generale, di bloccare questo seminario e altri simili, o per lo meno di confrontarsi in maniera conflittuale esigendo un dialogo anche con la classe lavoratrice e col precariato, in primis quello dell’istruzione.

Assemblea di scienze politiche occupata