C.i.e. e frontiere
Soliedarietà ai migranti arrivati in stazione a Bologna
Questa mattina, verso le 6, 118 migranti richiedenti asilo sono stati identificati dalla PolFer mentre viaggiavano su un treno diretto a Milano. Nonostante avessero pagato il biglietto, il treno è stato soppresso e fermato a Bologna, dove polizia e carabinieri hanno fermato e smistato tra questure e caserme i migranti, per un’ulteriore identificazione.
Questi migranti sembrano provenire dalla Tunisia e pare non avessero documenti: non si spiega tuttavia il motivo di un trasferimento in massa nelle questure e nelle caserme di 118 persone; non sono state date spiegazioni riguardo alla loro sistemazione futura; non si sa dove fossero diretti questi migranti, forse in Francia per ricongiungersi ai familiari.
Sembra che queste persone provenissero dai CARA (Centri di Accoglienza per i Richiedenti Asilo) dove non esiste l’obbligo di permanenza: perché fermarli proprio a Bologna? Se questi migranti volessero richiedere asilo in Francia, perché bisognerebbe obbligarli a seguire l’iter burocratico per lo status di rifugiato politico in Italia?
Da parte nostra, rifiutiamo il clima xenofobo alimentato dalle esternazioni del Ministro dell’Interno Maroni riguardo all’esodo dei richiedenti asilo dalle coste del Nord Africa e chiediamo la liberazione di tutti i fermati alla stazione di Bologna, ribadendo il diritto di tutte e tutti alla libera circolazione sul pianeta.
Non sappiamo quale sarà il futuro di questa gente ed esortiamo coloro che si sentono solidali con i migranti a concentrare l’attenzione su questa situazione ambigua.
Maroni non ha accettato l’aiuto dell’Unione Europea – che comunque può solamente avviare nuove operazioni di polizia di frontiera, perseverando nella politica di controllo, repressione ed espulsione dei migranti con l’agenzia Frontex – e ora chiede di bloccare i flussi con operazioni di polizia (italiana) sulle coste tunisine: è ovvio che le inadempienze di questo ministro schiavista abbiano superato il limite. Il populismo leghista, fatto di razzismo e luoghi comuni, forte dell’appoggio di forze dell’ordine, Croce Rossa e associazioni cattoliche non riesce più a dirigere l’attenzione pubblica lontano dalle vere problematiche legate ai flussi migratori.
Le parole di Maroni riferite al collasso di un sistema fatto di carceri, CIE, detenzioni amministrative ed espulsioni sono la spia di un problema molto più grave: le possibilità di un’Europa basata su un consumismo sfrenato e fortificata verso l’esterno, basato sullo sfruttamento della miseria della stragrande maggioranza delle regioni del pianeta e sullo sfruttamento della manodopera migrante sono giunte al termine. Come si può pensare che la stragrande maggioranza della popolazione mondiale possa costruirsi una vita dignitosa nei propri paesi d’origine, che noi contribuiamo a devastare appoggiando dittatori, vendendo armi, scaricando rifiuti, monopolizzando i mercati locali o creandone ad hoc, distruggendo i legami di solidarietà sociale esistenti?
Per questi motivi rinnoviamo la nostra solidarietà e complicità con tutti/e i/le migranti.
Tutti i fermati liberi subito.
Francia – un uomo è morto
Da non-fides.fr
Un uomo è morto, lunedì 29 novembre 2010, a Colombes, nella banlieue di Parigi.
Se crediamo alla versione dei media, gli sbirri sarebbero arrivati al domicilio di un amico che lo ospitava (grazie ai vicini), per porre fine ad un litigio fra i due. Il nostro uomo avrebbe allora fatto tutto il possibile per resistere all’intervento della polizia, che gli chiedeva i documenti: non ne aveva. Fuggendo per le scale, dibattendosi, usando un martello, ha finito per prendersi del gas lacrimogeno, dei colpi di tonfa e alla fine tre colpi di taser, quella pistola elettrica la cui letalità è messa in dubbio da tutte le uniformi del mondo. È morto dopo qualche istante e noi lasciamo gli esperti domandarsi se si è trattato di un’asfissia dovuta ai lacrimogeni o del cuore che è stato mortalmente toccato dai taser.
Dopo questa storia, abbiamo potuto sentire Amnesty che chiede “una moratoria”, il Raidh (associazione specializzata nell’anti-taser, come ci sono degli specialisti anti-flashball etc.) che pensa che il taser dovrebbe essere dato in dotazione solo alle “unità d’elite”. Ma, all’interno della loro versione poliziesca del mondo, cosa possono rispondere costoro a Hortefeux [ministro dell’interno, il Maroni francese, NdT] quando dice che “nel mondo intero, l’alternativa al taser sono le armi da fuoco e in questo caso le armi da fuoco non sono state usate. Non c’è altra alternativa ai taser.”
Ci sono poi dei giornalisti che parlano di circostanze “poco chiare”, il tutto per mascherare il fatto che un sans-papier è stato assassinato dalla polizia.
Ce li vediamo bene, i piedipiatti che si rivoltano, a questo proposito: “Ma come! I nostri colleghi sono stati attaccati! Bisognava pur che si difendessero!”. Il problema è tutti lì: che i vostri colleghi sono intervenuti. È la loro stessa esistenza.
Cos’è questo mondo in cui un diverbio fra due amici si deve regolare con l’intervento di uomini armati di pistole a impulso elettrico?
L’uomo morto a Combles è scappato e si è difeso di fronte a persone che volevano rinchiuderlo e poi deportarlo (era sottoposto ad una intimazione a lasciare il territorio francese). Non sono i suoi colpi di martello, reali o inventati, non è la sua fuga, non è neanche tanto l’esistenza del taser nelle mani degli sbirri, il problema. Il problema è che degli individui siano arrestati, rinchiusi, deportati; il problema è l’esistenza di frontiere e Stati; il problema è l’esistenza di una polizia per difenderli…
Non sappiamo nulla sulla vita di quell’uomo, cosa era, cosa pensava. Così, non gli faremo l’insulto di diventare suoi compagni post mortem o di farne un martire. Solo, la sua morte ci ricorda tragicamente come lo Stato possa colpire nella nostra carne quando gli sembra meglio. Ci ricorda quanto siamo sottomessi a un mondo di morte, dove pestare a colpi di manganello, lacrimogeni e scariche elettriche un individuo che si rifiuta di sottomettersi ad un controllo sia cosa difendibile (e forse accettabile per alcuni) e diffusa.
Tutto ciò non deve passare sotto il silenzio.
Pochi amano la polizia. Pochi immaginano un mondo senza di essa e i suoi diversi derivati.
Conosciamo l’autista spericolato, che non la ama a causa delle multe che prende in continuazione. Conosciamo quello che conclude “Alla fin fine fanno il loro lavoro” e quello che dice “Farebbero meglio a andare a garantire l’ordine nelle banlieue”.
Conosciamo uno dei suoi bersagli designati, quel giovane dei quartieri poveri che passa la sua adolescenza a gettare sassi sui cagnazzi blu, prima di trovare lavoro in un’impresa di sicurezza. Quel giovane sinistrorso con la maglietta con la foglia di maria, che non l’ama perché lo controllano e lo perquisiscono senza sosta, ma che va a fare denuncia quando gli rubano il cellulare.
Tutti, o quasi, hanno una buona ragione per odiare le divise, ma quanti sono pronti ad assumere questa scelta nella vita quotidiana, non solo durante scontri spettacolari, ma ad ogni controllo, ad ogni intervento, ogni infamia di un guardione; e soprattutto sbarazzandosi di quei riflessi di mediazione e di autorità che mettono ombra su ciascuno dei nostri rapporti? C’è un problema per le scale? Chiamo gli sbirri. Siamo contraddittori… due coinquilini si picchiano, chiamano dei tipi armati fino ai denti. Senza preoccuparsi di sapere se, per caso, l’uno o l’altro non hanno delle noie con la giustizia e le sue carte…
Noi non vogliamo che la polizia faccia il suo lavoro.
Noi non vogliamo che sia là quando “abbiamo bisogno di loro”.