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Francia – un uomo è morto
Da non-fides.fr
Un uomo è morto, lunedì 29 novembre 2010, a Colombes, nella banlieue di Parigi.
Se crediamo alla versione dei media, gli sbirri sarebbero arrivati al domicilio di un amico che lo ospitava (grazie ai vicini), per porre fine ad un litigio fra i due. Il nostro uomo avrebbe allora fatto tutto il possibile per resistere all’intervento della polizia, che gli chiedeva i documenti: non ne aveva. Fuggendo per le scale, dibattendosi, usando un martello, ha finito per prendersi del gas lacrimogeno, dei colpi di tonfa e alla fine tre colpi di taser, quella pistola elettrica la cui letalità è messa in dubbio da tutte le uniformi del mondo. È morto dopo qualche istante e noi lasciamo gli esperti domandarsi se si è trattato di un’asfissia dovuta ai lacrimogeni o del cuore che è stato mortalmente toccato dai taser.
Dopo questa storia, abbiamo potuto sentire Amnesty che chiede “una moratoria”, il Raidh (associazione specializzata nell’anti-taser, come ci sono degli specialisti anti-flashball etc.) che pensa che il taser dovrebbe essere dato in dotazione solo alle “unità d’elite”. Ma, all’interno della loro versione poliziesca del mondo, cosa possono rispondere costoro a Hortefeux [ministro dell’interno, il Maroni francese, NdT] quando dice che “nel mondo intero, l’alternativa al taser sono le armi da fuoco e in questo caso le armi da fuoco non sono state usate. Non c’è altra alternativa ai taser.”
Ci sono poi dei giornalisti che parlano di circostanze “poco chiare”, il tutto per mascherare il fatto che un sans-papier è stato assassinato dalla polizia.
Ce li vediamo bene, i piedipiatti che si rivoltano, a questo proposito: “Ma come! I nostri colleghi sono stati attaccati! Bisognava pur che si difendessero!”. Il problema è tutti lì: che i vostri colleghi sono intervenuti. È la loro stessa esistenza.
Cos’è questo mondo in cui un diverbio fra due amici si deve regolare con l’intervento di uomini armati di pistole a impulso elettrico?
L’uomo morto a Combles è scappato e si è difeso di fronte a persone che volevano rinchiuderlo e poi deportarlo (era sottoposto ad una intimazione a lasciare il territorio francese). Non sono i suoi colpi di martello, reali o inventati, non è la sua fuga, non è neanche tanto l’esistenza del taser nelle mani degli sbirri, il problema. Il problema è che degli individui siano arrestati, rinchiusi, deportati; il problema è l’esistenza di frontiere e Stati; il problema è l’esistenza di una polizia per difenderli…
Non sappiamo nulla sulla vita di quell’uomo, cosa era, cosa pensava. Così, non gli faremo l’insulto di diventare suoi compagni post mortem o di farne un martire. Solo, la sua morte ci ricorda tragicamente come lo Stato possa colpire nella nostra carne quando gli sembra meglio. Ci ricorda quanto siamo sottomessi a un mondo di morte, dove pestare a colpi di manganello, lacrimogeni e scariche elettriche un individuo che si rifiuta di sottomettersi ad un controllo sia cosa difendibile (e forse accettabile per alcuni) e diffusa.
Tutto ciò non deve passare sotto il silenzio.
Pochi amano la polizia. Pochi immaginano un mondo senza di essa e i suoi diversi derivati.
Conosciamo l’autista spericolato, che non la ama a causa delle multe che prende in continuazione. Conosciamo quello che conclude “Alla fin fine fanno il loro lavoro” e quello che dice “Farebbero meglio a andare a garantire l’ordine nelle banlieue”.
Conosciamo uno dei suoi bersagli designati, quel giovane dei quartieri poveri che passa la sua adolescenza a gettare sassi sui cagnazzi blu, prima di trovare lavoro in un’impresa di sicurezza. Quel giovane sinistrorso con la maglietta con la foglia di maria, che non l’ama perché lo controllano e lo perquisiscono senza sosta, ma che va a fare denuncia quando gli rubano il cellulare.
Tutti, o quasi, hanno una buona ragione per odiare le divise, ma quanti sono pronti ad assumere questa scelta nella vita quotidiana, non solo durante scontri spettacolari, ma ad ogni controllo, ad ogni intervento, ogni infamia di un guardione; e soprattutto sbarazzandosi di quei riflessi di mediazione e di autorità che mettono ombra su ciascuno dei nostri rapporti? C’è un problema per le scale? Chiamo gli sbirri. Siamo contraddittori… due coinquilini si picchiano, chiamano dei tipi armati fino ai denti. Senza preoccuparsi di sapere se, per caso, l’uno o l’altro non hanno delle noie con la giustizia e le sue carte…
Noi non vogliamo che la polizia faccia il suo lavoro.
Noi non vogliamo che sia là quando “abbiamo bisogno di loro”.
Noi non vogliamo che la polizia esista.
Alexis vive
6 Dicembre 2010
Il 6 dicembre è una data che vogliamo ricordare perchè due anni fa nel quartiere di Exarchia, ad un gruppo di ragazzi che insultavano una pattuglia, un poliziotto ha risposto sparando e uccidendo Alexis, un ragazzi di 16 anni. La prima risposta naturale è stata una sommossa generalizzata che per i tre giorni successivi all’omicidio hanno messo a ferro e fuoco la maggiori città del Paese e in poco tempo ha coinvolto svariati strati della società greca tramutandosi in una vera e propria sollevazione sociale. Ancora adesso la rabbia non si spegne, la giustizia di stato non è sufficiente a vendicare la morte di un ragazzo, i conti devono ancora essere saldati.
Pur consapevoli che le forze dell’ordine sono il braccio armato di ogni stato che difende gli interessi dei borghesi siamo convinti che anche in Italia i morti per mano degli sbirri dovrebbero ricevere la stessa solidarietà che ha trovato Alexis in Grecia.
Nelle carceri, nei cie, nelle questure e nelle fabbriche il sistema capitalista uccide attraverso lo stato.
Non si tratta di mele marce né di eccezioni, gli abusi di potere sono una prassi quotidiana che colpisce gli sfruttati, i non allineati e chi si ribella.
Siamo perciò convinti che sia necessario reagire perchè il silenzio e l’indifferenza sono connivenza.
“Perchè bruciamo? Perchè distruggiamo? Perchè siamo merci e non ci piace affatto”